mercoledì 28 dicembre 2011

Affamarsi a morte, riflettendo su cosa sia il "peccato"

Starving to death... per la bellezza? per la perfezione? per richiamare l'attenzione? per disgusto del mondo? qualunque sia la ragione che ci inventiamo, c'è sempre sotto un INGANNO. Sotto Natale, alla fine dell'anno, quando per molti riemergono le domande spirituali, vi faccio conoscere l'esperienza di una donna teologa:
"Mi ero posta la domanda di 'cosa sia il peccato' (e cosa significhi essere un 'peccatore') ancora in seminario, come un problema teologico. Un luogo logico per una simile ricerca. Volevo sapere che cosa c'è di sbagliato in noi, tanto che violenza, degrado e ingiustizia - ad ogni scala - sembrano posti alla base dell'esistenza umana... Perché mio Dio, mi chiedevo, siamo così? COSA c'è di sbagliato in noi?
Il desiderio di capire, se non di alleviare le più grandi ingiustizie, mi spingeva a interrogarmi. Razzismo, classismo, sessismo, omofobia: queste evidenti distorsioni della nostra capacità individuale e collettiva di riconoscere e coltivare una piena umanità di noi stessi e l'un l'altro: questi peccaminosi-'ismi' esigevano un'analisi critica spirituale delle loro cause e del loro ripetersi. 
E mentre i miei impegni liberazionisti animavano la mia convinzione che simili ricerche potrebbero fare la differenza pratica, nello sforzo di interrompere i loro peggiori effetti sociali e politici, ricordo che ancora affrontavo il problema sulla base di una decisa rimozione scolastica.
I fatti: san Paolo, sant'Agostino, Martin Lutero, e anche (dato che seguivo un seminario liberale) James Cone, Rosemary Ruether, Gustavo Gutierrez; datemi i FATTI teologici.
E poi nel 1999 ho iniziato ad affamarmi fino alla morte, in un'esperienza di malattia che si infiltrava in ogni fibra del mio essere fisico, mentale e spirituale. .. Ed ecco che le domande 'cos'è il peccato?'.. 'cosa significa essere un peccatore?' divennero per me intensamente personali. E non certo perché equiparassi un disturbo alimentare, o qualsiasi altra malattia, a qualcosa di "peccaminoso". Grazie a Dio, non sono mai stata tentata di imboccare questa strada. Ma piuttosto la mia malattia mi ha permesso di affacciarmi su quel mistero: cosa significhi essere annullati da qualcosa, travolti da una tentazione, disfatti da una volontà la cui forza mi strappava dalla giusta coscienza che Dio mi aveva creato per essere nel mondo. 
E' questo, che mi ha dato un senso improvviso e viscerale di cosa c'è di sbagliato in noi. Ecco: siamo peccatori (e siamo nel peccato) quando ci mettiamo fuori, o in opposizione, alla condizione di esseri creati a immagine e somiglianza di Dio.
'E Dio vide quanto aveva fatto ed ecco, era cosa molto buona', dice la Genesi (Genesi 1:31). Ma quando si perde di vista non solo la bontà di Dio in ogni cosa, ma anche l'aspetto personale e singolare che noi stessi siamo chiamati a incarnare questa bontà per noi stessi, e l'uno per l'altro nel mondo: è questo il cadere nel 'peccato'. Noi siamo, per disegno divino, un popolo buono e amato da Dio. Ma è la nostra tendenza ad allontanarci da questa conoscenza: dal sapere che siamo spezzati in realtà, eppure amati davvero - il dimenticarsi di questo, ai livelli più profondi e intimi della nostra vita, è la sostanza del nostro disfare.
Mi ricordo come ci si sente a perdere questa consapevolezza, e lo sfondo più ampio su cui prendeva forma questa caduta. Presa nel solito sforzo di credere nell'essere amata e di metterlo in atto, da strana ragazza nera in America, un giorno l'enorme peso di questa giusta lotta è diventato insopportabile. 
'Mio Dio, come posso farcela,' ho pianto, 'quando sono così inconsistenti le affermazioni pratiche e reali della mia esistenza nel mondo?' Mi sono lasciata penetrare dal dolore del costante fallimento delle comunità cristiane... Mi sono lasciata penetrare dall'ansia intorno, e prendere dal 'disprezzo della carne', che discende in parte dall'ordine storico della tradizione. E come questi sentimenti cominciarono a radicarsi in me ho perso il sentiero che porta all'abbraccio sempre pronto di Dio. Invece ho cominciato a desiderare di rimodellare attivamente il mio essere come qualcosa di piccolo, affamato e in via di sparizione sotto lo sguardo cieco di quasi tutti intorno a me.
Un disturbo alimentare, non altrimenti specificato, fu la diagnosi ufficiale. E oggi, oltre un decennio più tardi, quando posso affermare di aver superato quell'esperienza, non discuto gli interventi medici che mi hanno salvato la vita. Ma c'è anche quella parte della storia che chiede di essere raccontata al di là delle etichette cliniche e del tipo di articolazione teologica su cui riflettevo inizialmente.
Il modo migliore per parlarne pienamente non mi è ancora chiaro, ma 20 anni dopo aver iniziato a chiedermi cosa sia il 'peccato' e essere un 'peccatore', ora so quanto contino le nostre piccole storie, apparentemente private, di contrizione e vergogna; so quanto contino la paura e il desiderio. Sono importanti, non perché siamo chiamati a gettare colpa su noi stessi, o su chiunque altro a causa loro. 
Ma perché ci accecano (ndr). 
Noi siamo invece chiamati come popolo, spezzato nei fatti, ma amato davvero, a testimoniare di tutto ciò che siamo: della pienezza e della ricchezza del Creatore". (Lisa Anderson)
L'articolo originale è: "Meditating on sin at the end of the year" (Huffington Post).

martedì 6 dicembre 2011

La verità: anoressiche 2 ballerine su 3.

Pochi giorni fa un articolo del Guardian ci informa che, a quanto pare, una danzatrice della Scala su 5 sarebbe anoressica. Ma i conti non tornano. 
Sempre Mary Garret (alias Maria Francesca Garritano, intervistata dal Guardian), ci spiattella che "7 ballerine su 10 non hanno più il ciclo per via delle diete punitive a cui si sottopongono", e racconta: "quando ero adolescente gli istruttori mi chiamavano 'mozzarella' o 'gnocco cinese' davanti a tutti: limitai così tanto il cibo che le mestruazioni mi saltarono per un anno e mezzo, a 16 e 17 anni, e scesi a 43 chili. Mangiavo una mela e uno yogurt al giorno, affidandomi all’adrenalina per superare le prove". E aggiunge: "Troppo spesso le maestre sono ex ballerine frustrate che fanno agli altri quello che hanno subito: i genitori, pensando che le loro figlie siano in buone mani, perdono i contatti con loro e le ragazze instaurano una relazione religiosa con lo specchio degli esercizi, i loro insegnanti e il pubblico". 
Per cominciare, a Maria Francesca io scriverei un bel ringraziamento. Grazie carissima, ti adoro, e hai ragione a parlare: perché LA VERITA' RENDE LIBERI.
Già.. infatti già l'anno scorso Mary Garret aveva scritto un libro sul vero mondo della danza, per salvarsi, dice, "dal tunnel di frustrazione, insoddisfazione e finzione in cui il mondo in cui lavoro mi ha lentamente spinto. Un giorno ho trovato in camerino una lettera del nostro addetto stampa che ci comunicava la presenza di un fotografo dietro le quinte per un libro dedicato ad una delle nostre Prime Ballerine... mi è scattata una sorta di ribellione e mi sono detta: 'Ma che libri e libri fasulli sulla danza... sempre la ballerina perfetta, il mondo perfetto. Bisognerebbe fare un libro che faccia vedere che le cose stanno diversamente'. Così è nata la mia idea di liberarmi una volta per sempre attraverso la mia Verità".
Ma, anche, scriverei alla direzione della Scala per chiedere un'ispezione.
Reclamo una bufera su questi "istruttori" e sull'ente della Scala nel suo complesso.
Mi auguro che, prima o poi, questa bufera monti improvvisa e butti giù la ignobile piramide degli operatori che la alimentano e la compongono,  e relativi indotti senza scrupoli: dagli sfruttatori di ogni business (dalla moda allo spettacolo), ai "guru che fanno tendenza", ai pubblicitari, ai giornalisti di moda. Via, spazzati via. Inghiottiti in un buco nero più potente di quello che creano ogni giorno con i loro gorghi.




giovedì 1 dicembre 2011

La denutrizione del cuore conduce alla bulimia fisica

Vi siete mai chieste se c'è un nesso, fra il senso di vuoto che scava dentro, e la mancanza di ideali?
Quel vuoto che conduce prima a volersi azzerare come ente "fisico", attraverso l'anoressia, e poi consegna alla fame inestinguibile della bulimia, ha qualcosa a che vedere con la mancanza di speranza nel futuro? Non so.. sentite un po' qui..:
"Noi ci sentiamo DENUTRITI perché non abbiamo ideali: i giovani NON possono averne, di fronte allo spettacolo della sola politica che conosciamo, che non ci piace e non ci interessa.
Noi vogliamo una politica nuova perché capace di tenere conto della complessità: bisogna rifondare la visione del mondo, e gli atti di ciascuno, sulla consapevolezza che siamo parti di un solo organismo: solo di conseguenza la politica sarà nuova e capace di cambiare le cose. Noi sentiamo il bisogno di unirci, esplicitamente, sotto la parola d'ordine della coesione sui valori dell’ETICA e della RESPONSABILITA’ perché sappiamo che se i valori sono reali, e non vuoti, è da essi che DISCENDONO le cose. 
E i veri valori non ci si può limitare a esigerli: vanno in primo luogo espressi attivamente, in un fare eticamente trasversale, ispirato a un vero rinnovamento, anche, della mentalità individuale - nel pieno senso del concetto gandhiano: cambiare se stessi per cambiare il mondo. Insomma: vogliamo qualcosa che sia capace di andare ben OLTRE alla vecchia concezione di partiti, e sindacati: qualcosa che sia capace di trasformarli, di rinnovarci tutti. We want CHANGE".